Lungo la via artusiana
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Artusi è stato un gastronomo e un viaggiatore. Nato nel 1820, ha percorso, a cavallo, in biroccio, in diligenza e in ferrovia, la Romagna, la Toscana e l’Italia, sostando nelle locande, assaggiando i piatti di trattorie di paese e di ristoranti di città. A portarlo in giro, era il suo mestiere di commerciante, la sua curiosità di viandante agiato, il suo patriottismo che gli imponeva come un dovere la visita alle belle contrade d’Italia e infine le meritate vacanze di un ricco signore, domiciliato a Firenze dal 1851.
La sua casa – ultimo indirizzo fiorentino, Piazza d’Azeglio 25 – resterà per anni il punto di partenza di lunghi viaggi, l’ultimo a Roma e a Napoli nel 1899; nella sua biblioteca, si ritrovavano guide di città e carte geografiche, ognuna acquistata con un preciso scopo e consultata con la meticolosità di un uomo di affari; nella sua cucina, si ripetevano i piatti assaporati in giro: tagliatelle di Romagna, pappardelle aretine, i risi di Polesella e i saltimbocca alla romana. Il suo famoso ricettario, La scienza in cucina, esce nel 1891, e registra molti episodi, dalla giovinezza alla vecchiaia, con itinerari e soste e ricette, in particolare su quella via che dal paese natale, Forlimpopoli, lo aveva condotto a Livorno e poi, sempre più stabilmente a Firenze.
Ragioni per ripercorrere in senso inverso questo tragitto, ne avrà fino alla morte nel 1911, in particolare due poderi nella provincia di Forlì da cui ricavava un reddito non indifferente, l’esistenza di tre sorelle, di cui due con famiglia a Lugo e la nostalgia della terra natale. Il tratto di ferrovia Faenza-Firenze completato nel 1893, gli permetterà di gustare il giorno dopo la frutta raccolta nelle sue terre, ma non aveva dovuto attendere quella data per conoscere le strade romagnole e toscane e per tutta una vita, era risalito sino ai valichi appenninici, con la pioggia e con il sole, ed era ridisceso verso Firenze o Forlimpopoli, per quelle, per quella che chiamiamo oggi La Via Artusiana. Pellegrinaggio da Forlimpopoli a Firenze, oggi La Via Artusiana, così come fu La scienza in cucina, nata da viaggi, ognuno dei quali portava Pellegrino Artusi ad attraversare città e sostare in territori diversi, allo stesso modo prodotti e piatti speciali di una locanda, di un'osteria o di un ristorante oggi cambiati possono assaporare il senso del viaggio artusiano. Molte ricette sono testimonianze di queste tratte e di queste soste, e permettono oggi di ripetere l’esperienza a distanza di tempo, in condizioni mutate, con la stessa emozione davanti al cibo guadagnato con la pazienza del viaggiatore, ed oggi dell’escursionista. Le cuoche, i cuochi rifanno gesti antichi, con strumenti arcaici come il mattarello, senza dar segno che siano alterati dalla prossimità di una fiamma a gas o di un frigorifero; Artusi è il primo ad aver raccolto, con questo spirito, testimonianze orali e scritte, traducendole in ricette. Nella ricetta, egli registrava la ricchezza e la povertà di un territorio, l’ingegno e le consuetudini degli abitanti, e quel piacere che, in una sosta guadagnata con disagi e con pazienza, ricompensa l’ospite e dà da vivere all’oste. La cucina di molte locande era cucina di casa, aperta ai viandanti ma non per questo libera dai vincoli delle stagioni, della natura e delle montagne, ed oggi vi possiamo ancora ritrovare un passato. Con questo spirito vanno riletti, ne La scienza in cucina i piatti della geografia tosco-romagnola, e vanno richieste nelle trattorie che sono disseminate sulle vie artusiane, tagliatelle e pappardelle, carni arrosto e stufati, salumi e funghi che portano un nome già registrato nel lontano 1891. All’origine della guida di questo viaggio, a piedi, in bicicletta o in auto, c’è un ricettario e ad esso si riferirà puntualmente chi la consulta. La ricetta che segue è raccolta nella prima edizione de La scienza in cucina e in tutte le seguenti, e racconta un episodio di un trentennio prima, intorno agli anni dell’Unità d’Italia. È testimonianza vivace delle intese e della complicità create nei viaggiatori dal cibo, e dell’effetto di un piatto di tagliatelle sulla memoria imperitura di Pellegrino Artusi. L’aria di Romagna e il paesaggio sono gli ingredienti fondamentali