La minestra è la biada dell’uomo

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Scuola di cucina - Il bello del fare

“Una volta si diceva che la minestra era la biada dell’uomo, oggi i medici consigliano di mangiarne poca,…” così comincia il capitolo dedicato alle minestre nella Scienza in cucina, il manuale di cucina per antonomasia e Artusi, da buon Romagnolo, intende sia quelle asciutte, sia quelle in brodo.

Quando la medicina ancora continuava a suggerire diete proteiche, il gastronomo forlimpopolese comprende, meglio e prima di qualunque altro, l’importanza della pasta, invitando tutti, soprattutto chi ha uno scarso desinare, a farle festa. Una buona e generosa minestra sarà sempre la benvenuta!

Sin dalla prima edizione (1891) inserisce oltre cinquanta ricette di minestre che, anche grazie all’aiuto di lettori e sostenitori, raddoppieranno nell’ultima edizione curata dall’autore nel 1911 (anno della morte). Fra le varie scelte che permetteranno all’Artusi di essere consultato da generazioni di italiani senza avvertirne l’invecchiamento, vi sono alcuni temi, fra cui quello più importante probabilmente è proprio quello dei primi.

Artusi infatti coglie tendenze che si affermeranno successivamente, nel corso del novecento, sostenendo l’ascesa della pasta, da sud verso nord, accompagnando la nascita del paradigma gastronomico nazionale, tanto che gli italiani verranno etichettati spesso, proprio come mangia maccheroni. Uno stereotipo che Artusi contribuisce a consolidare.

In effetti solo in Italia, come ci insegna il Prof. Massimo Montanari, la pasta si emancipa dalla funzione di contorno che aveva nel medioevo e nel rinascimento, assumendo un ruolo autonomo per guadagnarsi poi un posto di primo piano nella dieta mediterranea, dichiarata dall’Unesco patrimonio culturale dell’Umanità.

Oltre tutto, quando le portate erano ancora tante, cinque o sei, almeno nelle tavole borghesi, Artusi suggerisce di condire la pasta con carne (esempio ricetta 253, stracotta di vitella) perché può servire “a doppio scopo, cioè di minestra e companatico”. Direi che è esattamente quello che oggi chiamiamo piatto unico, presente in tante tavole italiane.

Artusi è un visionario che guarda al futuro e che sa, ancora oggi, istruirci con il suo manuale che è tutto da leggere e da usare.

Ci consiglia di usare sempre buona materia prima, prodotti stagionali e di condire il tutto con irrinunciabile passione, senza rinunciare alla libertà in cucina, contenuta solo dal buon gusto. Quindi anche i primi piatti vanno preparati secondo gusto di famiglia e prodotti a disposizione, ma va sottolineato come queste, più di qualsiasi altra preparazione, resistono alle mode e al tempo.

Infatti le ricette di pasta, provate e riprovate come ogni ricetta con il cuoco Forlimpopolese Francesco Ruffilli, possono essere apprezzate come Artusi ce le propone.

Ma se volete scoprire anche l’ ironia di questo libro, aspetto che ne costituisce una delle maggiori ragioni del successo, leggete e preparate la ricetta n. 7 Cappelletti all’uso di Romagna, anche perché come scrive l’amica benestante Luisa Burresi Pettini :

“ Egregio Sig Artusi Ho molto gradito i suoi buoni cappelletti e sono d’Accordo con Lei nel chiamarli la prima minestra del Mondo. …”

Ma la madre di tutte le paste fatte a mano, soprattutto per noi Romagnoli sono le tagliatelle che devono essere lunghe, come ci insegna l’Artusi nella ricetta 71: “..Non approvo l’uso invalso, per uniformarsi al gusto degli stranieri, di triturare minutissimi nel brodo i capellini, i taglierin e le minestre consimili che per essere speciali all’Italia, debbono serbare il carattere della nazione. “

Siavi di esempio e di ricetta.

Laila Tentoni, Presidente Casa Artusi