Pillole di maionese

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Assaggi di Storia

La salsa francese più nota, da chi cucina e dall’industria stessa, ha origini oscure, e invano cercheremmo ipotesi confortanti in wikipedia che pure le dedica note storiche precise. Sta il fatto che il primo testo in cui ne troviamo la ricetta, con il suo nome, è L’Apicio moderno del 1790. L’autore è Francesco Leonardi, romano, “già cuoco di S. M. Caterina II imperatrice di tutte le Russie” con una biografia di chef viaggiatore ed una conoscenza professionale della cucina francese d’alto profilo. Nel sesto volume, troviamo l’Insalatina alla Maionese. Il diminutivo non deve stupire in un servizio aristocratico, ci sono infatti due o tre pollastri arrostiti, tagliati in otto pezzi, a reclamare la salsa. La ricetta di questa è citata al volo: “Stemperate in una terrina col olio a proporzione due rossi d’uova dure con poco di mostarda e un poco di aceto alla Ravigotta.” Dopo l’aceto usato per la salsa ravigotta, viene l’insalatina, anzi l’insalatona, di prezzemolo, cerfoglio, pimpinella, dragoncello, ruchetta, foglie di finocchio e ancora crescione, scalogno, con filetti d’alici, cipollette e code di gamberi. Il piatto, beninteso, “va servito con tutta la Salsa” e guarnito di crostini fritti. La Maionese è descritta in breve, per di più con rossi di uova “dure”, e fa pensare ad una salsa d’uso, non meritevole di una ricetta a se stante ed evidenziata in quanto tale, ma destinata ad una insalatina, diminutivo ovviamente per banchetti signorili. Avrà immediato successo, sin dagli inizi del XIX° secolo a Parigi, e la ritroviamo ne Le cuisinier parisien di Antoine Carême, del 1828, nel quarto capitolo Traité des sauces magnonnaises con ben cinque ricette. Ne La scienza in cucina di Artusi arriva come “una delle migliori salse francesi” ed a conclusione, senza pensare a Leonardi, che non conosceva, leggiamo: “Per essere più sicuri dell’esito, ai due rossi d’uovo crudi si usa aggiungere un altro assodato.” La stessa indicazione ritroviamo nei ricettari di Lazzari Turco del 1904 e di Ada Boni del 1925.

Alberto Capatti, Direttore scientifico Casa Artusi