​L’amico Cecconi e la Conserva di Rose

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Il buono del sapere

Era una volta, quando la rivoluzione tecnologica era ancora nella fase iniziale, che le persone acculturate consideravano la lettera il modo migliore per tenere aggiornati i propri cari e gli amici. Scrivevano le signorine di buona famiglia, scrivevano i soldati al fronte, scrivevano i poeti e i mercanti, scrivevano gli emigranti. E scrivevano soprattutto i benestanti, ancorati a una solida educazione borghese, colti e sensibili al mantenimento delle relazioni sociali e dei rapporti con le persone che conoscevano e frequentavano. Pellegrino Artusi era un benestante, quindi non si sottraeva alla corrispondenza. Anzi le relazioni epistolari che intrattenne e, nel tempo, incrementò, ebbero un peso non trascurabile nella formazione della Scienza in Cucina, fra le cui ragioni del successo va infatti iscritto, prioritariamente, il merito di essere un’opera collettiva, scritta da Artusi con le italiane e gli italiani che inviavano suggerimenti, ricette e testimonianze di stima e affetto.

È conservato in Casa Artusi il prezioso carteggio che costituisce un patrimonio prezioso, ancora in gran parte da studiare in maniera approfondita, ora digitalizzato e trascritto (consultabile qui casartusi.it/carteggio), a disposizione di studiosi e curiosi che vogliono conoscere di più non solo di Artusi ma del suo tempo.

Tante lettere, tanti argomenti, tanti amici e conoscenti; una vera miniera d’oro in cui, ciascuno può cercare e trovare, secondo interessi e curiosità, pepite preziose.

In questo breve testo propongo il carteggio in arrivo ad Artusi dall’ amico Cecconi, costituito da 27 lettere nel periodo 1900/1901 da cui possiamo ricavare informazioni culturali, storiche, politiche e, naturalmente, gastronomiche relative alla vita quotidiana nei primi anni del secolo scorso.

Enrico Cecconi (nato a Genova il 4/2/1843 - morto a Firenze il 14/4/1926) è possidente, celibe, e condivide con Artusi la passione per la cultura, la caccia e la cucina. I due scapoloni eleganti dedicano le loro giornate ad approfondire la conoscenza, leggono i classici, ma non disdegnano D’Annunzio, si concedono serate a teatro o all’opera, amano l’arte e la bellezza avendo a disposizione il tempo e i mezzi per coltivarle. Aderiscono ai circoli selezionati, frequentano i salotti buoni della buona società, una volta o due all’anno scendono alle terme, viaggiano, visitano le capitali europee, non rinunciano ai bagni nelle nascenti stazioni balneari e alle tradizionali battute di caccia, ma sempre il loro aplomb raffinato non li distanzia dal buon gusto, dalla moderazione e da un relativo distacco nella fruizione dei privilegi.

Nella corrispondenza fra i due buongustai il cibo assume un ruolo importante, con scambio di consigli, ricette e naturalmente di doni, fra cui: fagiuoli dalla buccia finissima, caviale preparato con le ovaie di storione del Po in Ferrara, definite una ghiottoneria luculliana.

Anche Cecconi ama cingere un grembiule in cucina e provare e riprovare ricette, fino al raggiungimento del pieno appagamento. Si sente onorato, confessa di essere cresciuto un palmo quando un’autorità riconosciuta come l’amico Artusi gli scrive che fra le cinque ricette provate per la confettura di rose, la migliore era sicuramente la sua. La conserva di rose, cosi come quella di azzeruole, che Cecconi aveva fatto gustare al gastronomo forlimpopolese, entreranno nella sesta edizione del 1902 per non uscirne più. Cecconi, sopravvissuto all’Artusi una quindicina d’anni, avrà continuato a provare e riprovare ricette anche se l’amico aveva lasciato la vita terrena ma la Scienza, a cui in sordina aveva contribuito, continuava ad essere pubblicata perché, ieri come oggi, è fonte inesauribile di suggerimenti e consigli.

Laila Tentoni, Presidente Casa Artusi

* per approfondimenti: Vita quotidiana al tempo di Artusi: Enrico Cecconi e l’amico geniale” sulla Rivista del Museo Archeologico di Forlimpopoli (MAF) Documenti e studi, 2020.


Conserva di rose ricetta n.745 – La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene

La rosa, questa regina dei fiori, che in Oriente ha la sua splendida reggia, fra i molti suoi pregi non sapevo che avesse pur quello singolare di trasformarsi in una buona e profumata conserva.

Fra le tante sue specie e varietà, quella che io apprezzo e ammiro di più è la rosa dalla borraccina poiché, quando i suoi boccioli cominciano a schiudersi e li considero bene, risvegliano in me, come probabilmente negli altri, l’idea simbolica della pudica verginella e forse furono essi che ispirarono all’Ariosto le bellissime ottave:

La verginella è simile alla rosa,
Ch’in bel giardin sulla nativa spina
Mentre sola e sicura si riposa,
Né gregge né pastor se le avvicina:
L’aura soave e l’alba rugiadosa,
L’acqua, la terra al suo favor s’inchina;
Giovani vaghi e donne innamorate
Amano averne e seni e tempie ornate.
Ma non sì tosto dal materno stelo
Rimossa viene, e dal suo ceppo verde,
Che quanto avea dagli uomini e dal cielo
Favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che ‘l fior, di che più zelo
Che de’ begli occhi e della vita aver de’,
Lascia altrui corre, il pregio ch’avea innanti
Perde nel cor di tutti gli altri amanti.

Una buona e vecchia signora, la cui memoria porto scolpita nel cuore, coltivava a preferenza questa specie di rose nel suo giardino, e sapendo la mia predilezione per quei vaghi e poetici fiori, ogni anno a maggio me ne donava. La stagione più opportuna per fare questa conserva è quando le rose sono in piena fioritura dai 15 di maggio ai 10 di giugno. Occorrono rose dette maggesi, che sono di colore roseo ed odorose. Sfogliatele e recidete ad ogni foglia la punta gialliccia che trovasi in fondo alla medesima gettandola via e, per far questa operazione con meno perdita di tempo, prendete con la sinistra tutto il ciuffo, ossia la corolla della rosa, e con la destra, armata di forbici, tagliatela giro giro poco più sopra della base del calice.

Ecco le dosi:

  • Zucchero bianco, fine, grammi 600.
  • Foglie di rose al netto, grammi 200.
  • Acqua, decilitri 6.
  • Un mezzo limone.
  • Breton, un cucchiaino.

Ponete le rose in una catinella con grammi 200 del detto zucchero e il sugo del mezzo limone e con le mani strofinatele, tritatele più che potete per ridurle quasi una pasta. Sciogliete al fuoco il resto dello zucchero nell’acqua suddetta e gettatecele per farle bollire fino a che il siroppo sia condensato, il che si conosce se, prendendone una goccia fra le dita, comincia ad appiccicare; ma badate che non arrivi a fare il filo. Prima di ritirarle dal fuoco date loro il colore col breton, del quale potete fare anche a meno, se al bel colore non ci tenete. E il breton un liquido vegetale rosso, innocuo, così chiamato dal suo inventore, per colorire ogni sorta di dolci.

Codesto, che vi ho descritto, è il modo più semplice e da me preferito per fare la conserva di rose, ma le foglie rimangono durettine. Volendole più tenere bisognerebbe farle bollir prima nell’acqua indicata per cinque minuti, levarle, strizzarle e pestarle nel mortaio il più possibile coi 200 grammi dello zucchero e il sugo del limone, poi sciogliere nella stessa acqua il rimanente zucchero, gettarvi le rose pestate e pel resto regolarsi come si è detto.

Quando la conserva è diaccia ponetela nei vasetti per conservarla come tutte le altre consimili.