Il sapore dello stile

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Scrivere di cibo
storie di ricette e ricettari

La scrittura ha un suo stile, ed è ciò che contraddistingue ogni autore. Parlando di scrittura gastronomica, possiamo dire che lo stile è il sapore dell’autore, ossia il modo unico che ogni autore ha di scegliere le parole, amalgamarle, condirle, per dare vita a un testo. Creare un ricettario è un modo per esprimere il proprio stile di scrittura. Un po’ come un’impronta digitale, che ci rende unici e irripetibili, anche le impronte che imprimiamo sui tasti della tastiera creano un flusso di parole originale, che parla di noi. Frugare tra le pagine dei ricettari che hanno fatto la storia della cucina italiana è un piacevole viaggio tra stili e autori diversi.

Lo stile è inoltre una questione estetica perché, ricordiamolo sempre, un libro è prima di tutto un oggetto che deve essere ben confezionato. Non è fatto solo di parole, ma il pregio editoriale del ricettario è dato dalla cura che riserviamo anche alla sua dimensione materiale: la scelta della carta, l’importanza della grafica, i font usati per la scrittura, i colori, le illustrazioni e le fotografie, il titolo e la copertina. Vi porto un esempio: nel 1931 uscì per la casa editrice Domus di Milano un ricettario che ancora oggi è considerato un esempio di stile, il Quattrova Illustrato - ovvero la cucina elegante, sia per quanto riguarda la scrittura (colta e ironica, leggera e profonda) che per essere un piccolo capolavoro di grafica. Dietro questo volume c’era la direzione artistica di Gio Ponti, che aveva firmato anche le illustrazioni.

Spostandoci avanti negli anni, troviamo tutt’altro stile di ricettario, più agile e “parlato” del Quattrova, che però si è distinto per la sua unicità e dirompenza: sto parlando dell’Uovo alla Kok di Aldo Buzzi, uscito nel 1971, che riesce ad essere utile (perché ci sono ricette e trucchi di cucina) e molto, molto, divertente. Pochi anni dopo uscirà poi, precisamente nel 1974, uno dei miei brani preferiti di scrittura gastronomica: Asparagi e immortalità dell’anima, di Achille Campanile. Secondo solo, nel mio personalissimo palmarès, a Biografia sentimentale dell’Ostrica di M.F.K. Fisher del 1941, dove si racconta tutto delle ostriche (anche la loro vita amorosa, oltre a come preparale e gustarle) in modo strepitosamente stiloso e originale. Ma torniamo ai ricettari.

Uno stile molto identitario può in certi casi incidere profondamente nelle abitudini dei lettori. A proposito di questo ho un esempio calzante da proporvi. Come sapete, gli Stati Uniti sono gli unici a misurare gli ingredienti in cups, tazze. La storia delle cups è legata allo stile di una delle food writer più famose di sempre, Fannie Farmer. Il suo libro The Boston Cooking-School Cook Book (1896) fu uno dei ricettari più popolari degli anni Venti del secolo scorso. Maniaca dell’accuratezza, si convinse che per ovviare il sistema di misurazione degli ingredienti si dovesse ricorrere a misurarli nel loro volume e non nel peso, quindi introdusse le misurazioni in tazze, cucchiai e cucchiaini. Ancora oggi i ricettari americani non perdono questa unità di misura nelle traduzioni, per cui, dovesse capitarvi di realizzare una ricetta che ha gli ingredienti in tazze, sapete da dove arriva!

Venendo ai giorni nostri, Modernist Cuisine è considerata l’enciclopedia contemporanea della cucina. Sei volumi, 2438 pagine, 1522 ricette, 3216 fotografie. Scritta a sei mani da due top chef, Chris Young e Maxime Bilet, e un miliardario informatico, Nathan Myhrvold (ex Chief Technology Officer di Microsoft), l’opera mappa tutti i processi chimici, fisici e biologici della cucina, portando l’arte culinaria a un livello altissimo di creatività e tecniche scientifiche insieme. Uno stile certamente riconoscibile e che si è distinto in mezzo a tanti altri volumi.

I ricettari che preferisco, sono quelli che ti portano in un mondo lontano, dove la cucina diventa geogastronomia capace di farti trovare sorellanze e fratellanze nei sapori di un altro popolo e dove l’identità culinaria diventa fluida e potenzialmente infinita. O quelli che, insieme alla geografia, ti raccontano anche un po’ di storia: uno dei miei acquisti più recenti è Quando un piatto fa la storia, l’arte culinaria in 240 piatti d’autore (edito in Italia da Ippocampo). Originale nell’impostazione e anche nella scelte delle illustrazioni.

Lo stile è qualcosa che non si impara, si sceglie e si interpreta. Però si può arricchire, affinare, smussare, impreziosire. E’ una cura continua, una evoluzione che non finisce mai. Ed è proprio questo il bello.

Martina Liverani

Giornalista enogastronomica