Farine, lievitazioni, pizze
- Data
In commercio troviamo tantissime farine con caratteristiche diverse. In questo scritto tratterò soltanto quelle ottenute da grano tenero. Anche queste hanno delle proprietà diverse e quindi ciascuna è più adatta per una certa preparazione piuttosto che per un’altra. I mulini industriali, sulle farine che commercializzano, eseguono molte analisi i cui risultati vengono riportati in una scheda. Riterrei importante che questi dati li trovassimo anche nella confezione del supermercato.
Alcune sono le classiche analisi chimiche: umidità, ceneri, proteine, grassi, ecc. Ad esempio le farine vengono classificate in base alla quantità di crusca presente: 00, 0, 1, 2, Integrali. Siccome è più semplice, si determinano le ceneri (sono le stesse che rimangono nel camino quando bruciamo la legna). Derivano dai sali presenti nelle farine, che non bruciano. La maggior parte di questi sali è nella crusca, quindi c’è una corrispondenza fra quantità di ceneri e crusca presente.
Altre prove vengono chiamate reologiche, cioè mettono in evidenza il comportamento degli impasti (e quindi delle farine) di fronte a varie sollecitazioni meccaniche. Per questo sono state ideate apposite macchine, a volte costose, che troviamo nei laboratori dei mulini industriali. Sono consapevole che mi dilungherò un po', però se vogliamo capire di cosa parliamo, mi tocca farlo.
La prima che vi illustro è l’Alveografo di Chopin (non ha niente a che fare con il famoso compositore polacco ), ma fu ideato dal francese Marcel Chopin negli anni 20 del Novecento. Si preparano dei dischetti, di dimensioni definite, con l’impasto della farina da analizzare, si fissano uno alla volta nell’apposita sede, un getto d’aria sale da sotto e produce una bolla che si espande fino a rompersi. La pressione esercitata è collegata ad un pennino che scrive su un foglio di carta millimetrata avvolto in un tubo verticale che ruota. La figura ottenuta è schematizzata qui sotto (in realtà sono due).
L’apparecchio simula quello che avviene in un alveolo dell’impasto quando viene gonfiato dal gas prodotto nella lievitazione.
L’area della figura moltiplicata per un coefficiente, ci da il W, chiamato forza della farina ed è un indice globale di comportamento delle farine: capacità di trattenere l’anidride carbonica, capacità di assorbimento dell’acqua durante lievitazione e impastamento. In realtà l’alveogramma ci fornisce altri due parametri. P (indice di tenacità), cioè la tenacità della farina e L (Indice di estensibilità). Ai fini pratici vengono combinati fra di loro nel rapporto P/L. A mio avviso si enfatizza troppo il W e non si considera a sufficienza il P/L. Dalla figura si può vedere che due farine pur avendo lo stesso W in realtà possono essere molto diverse: una è molto tenace e l’altra molto estensibile. Un P/L maggiore di 0.90 indica che la farina è troppo tenace. Necessita di un lungo impastamento e rischiamo di avere un prodotto poco voluminoso, invece con un P/L minore di 0.40 avremo una farina che produce un impasto molle, troppo estensibile, appiccicoso, inadatto per la lievitazione.
Un altro strumento importante è il Farinografo di Brabender che ci fornisce indicazioni molto importanti sulla quantità di acqua da aggiungere alla farina per avere un impasto perfetto, il tempo minimo di impastamento per avere lo sviluppo ottimale della maglia glutinica, il tempo di stabilità dell’impasto, cioè per quanto tempo possiamo lavorare l’impasto prima che inizi il rammollimento. Ritengo che queste due siano le prove più importanti, anche se ne vengono eseguite altre. Vi sono varie tabelle di utilizzo delle farine in base al W, ne riporto una a titolo di esempio.
W | Caratteristiche | Utilizzo |
Oltre 400 | In miscela con altre farine | |
300/370 | Molto forti | Prodotti a lunga lievitazione, panettoni, pandoro |
250/300 | Forti | Rosette, Baguette |
160/250 | Medie | Grissini, Cracker, Pane comune, Ciabatte, Pizze, Sfoglia per pasta |
90/160 | Deboli | Biscotti, Dolci |
Faccio presente che se usate per le vostre preparazioni le farine adatte (come riportato nella confezione), non avrete grossi problemi perché oggi queste si ottengono mescolando grani con caratteristiche diverse e quindi alla fine avranno i parametri che si vogliono. I problemi si possono presentare se usiamo farine macinate a pietra dove nella confezione non è riportato l’utilizzo ideale, o una farina industriale generica.
Nelle farine ci sono delle proteine ed in particolare due di queste: gliadine e glutenine reagiscono con l’acqua per formarne una nuova: il glutine. L’azione meccanica dell’impastamento favorisce questa reazione. Si tratta di un reticolo viscoso ed elastico che ha la proprietà di trattenere i gas durante la lievitazione. I tempi di formazione di questa “maglia glutinica” dipendono da diversi fattori: tipo di farina, quantità di acqua aggiunta, sistema di impastamento (manuale o meccanico). Grosso modo possiamo dire che l’ordine di grandezza è sui 10 minuti. Ed è importante capire quando la maglia glutinica si è formata correttamente perché dobbiamo fermarci. Questo si capisce attraverso alcune valutazioni visive e tattili, che con l’esperienza imparerete.
Il processo di lievitazione può essere generato fondamentalmente da fenomeni meccanici, chimici o biologici. Qui parleremo di questi ultimi. Vengono generati da microrganismi che consumano zuccheri semplici e li trasformano in anidride carbonica, acqua, alcol e piccolissime quantità di altri prodotti odorosi e con sapori particolari. Questi zuccheri semplici sono presenti in piccole quantità nelle farine perché degli enzimi, chiamati alfa e beta amilasi, trasformano piccole quantità di amido in composti più semplici. A volte si può aggiungere malto.
Immaginiamo che ci siano decine di migliaia di questi microrganismi che soffiano in piccolissimi palloncini, formati dalla maglia glutinica, che ovviamente si gonfiano. Quindi l’impasto aumenta di volume. Possiamo avere due problemi: finiscono gli zuccheri e quindi i lieviti non producono più gas, oppure i palloncini, in quanto troppo gonfi, cominciano a perdere gas. Quindi il volume dell’impasto inizia a diminuire. Noi dobbiamo infornare la nostra preparazione prima che avvenga questo. Capirlo non è facile, l’esperienza ci aiuta.
Questi lieviti possono essere tutti uguali: Saccharomyces Cerevisiae, se usiamo il lievito di birra. Abbiamo due tipologie: in panetto o quello secco. I vari pizzaioli hanno le loro preferenze. Poi abbiamo il lievito madre che è una miscela di lieviti, in parte detti selvaggi , più piccole quantità di fermenti lattici e acetici. La fermentazione è più lenta, però si ottengono prodotti più profumati e digeribili.
La velocità di fermentazione dipende principalmente dalla quantità di lievito presente, e dalla temperatura alla quale manteniamo l’impasto. Questa velocità rallenta se ci avviciniamo alle basse temperature del frigo e aumenta se la temperatura sale attorno ai
Per le pizze scegliete la ricetta che più vi piace e poi procedete nella preparazione. Vi do alcune linee guida. Mescolate la farina con il lievito, poi aggiungete l’acqua, impastate bene, poi sale e olio. Continuate ad impastare fino al punto ottimale. Si esegue il primo riposo di circa un ora in una ciottola oliata coperta con un canovaccio. Avviene la prima lievitazione. Si procede con le piegature di rinforzo, con l’apposita tecnica, per inglobare ancora aria. Ad esempio per tre volte a distanza di circa venti minuti.
La palla viene messa in una ciottola grande almeno il doppio e oliata. Coperta con la pellicola si pone in frigo per 18/24 ore. Tagliate l’impasto in panetti della grandezza che volete, ridate la forma rotonda. Lasciate riposare i panetti per circa un’ora e mezza a temperatura ambiente poi premete delicatamente con i polpastrelli sull’impasto e date la forma e lo spessore che desiderate. Farcite a vostro piacimento e cuocete nel forno già caldo per un tempo che varia a secondo che si tratti del forno di casa a 220/250 °C o di quello per pizza.
Franco Mambelli - Comitato Scientifico Casa Artusi