Autobiografia culinaria e ricettari di famiglia

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Scrivere di cibo
storie di ricette e ricettari

La buona scrittura culinaria raramente riguarda solo il cibo, più spesso ha a che fare con le persone, i luoghi, il modo in cui viviamo e ciò che siamo. Sono proprio i dettagli sensoriali del cibo ad aiutarci a sbloccare i nostri ricordi più fertili e liberare narrazioni originali che attraverso il linguaggio ci portano a esperienze uniche e personali. Con i giusti strumenti narrativi a disposizione, possiamo curiosare nei momenti più ordinari o straordinari della nostra autobiografia culinaria, per rivelare le storie che solo noi possiamo raccontare

Del resto, è stato proprio Pellegrino Artusi, per primo, a rivelarci la dimensione sentimentale della cucina e la sua forza biografica: nel suo ricettario, molte ricette sono legate a un aneddoto personale dell’autore o delle persone che hanno condiviso con lui una qualche storia famigliare. E anche per questo Artusi risulta così incisivo e amato.

Perché un corso sulla scrittura di un ricettario autobiografico?

I ricettari casalinghi hanno vita lunga: passano di generazione in generazione, tramessi o ereditati, come una staffetta che di mano in mano si arricchisce di dettagli, note, variazioni e si tramanda nel tempo.

I ricettari casalinghi sono quelli del cibo reale ma anche del cibo immaginario, chiamiamo così quei piatti che non cuciniamo o cucineremo mai, ma vogliamo che continuino a tenerci compagnia, a essere lì, vicino a noi, in forma scritta. Perché la scrittura permette di fermare le cose, trattenerle per non farle scivolare nell’oblio.

Il corso si snoda in tre tappe: cominceremo nella biblioteca di Casa Artusi per conoscere gli autori che hanno influenzato il mio modo di scrivere di cibo e costruiscono la mia bibliografia; da qui attingo per trovare spunti, ricordi, confronti e storie di cibo. Nella seconda tappa sceglieremo “gli ingredienti del ricettario”, metteremo le mani all’opera per analizzare i passaggi principali del progetto, conoscere gli elementi di cui c’è bisogno per creare e riempire un libro di storie culinarie. Qual è la ricetta per la ricetta perfetta? Infine, aggiungeremo la narrazione per rendere unico e personale ogni ricettario: tra ricordi e sogni, aneddoti e desideri, dolci o salati, tutti noi abbiamo una storia speciale che ha a che fare con il cibo

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Una ricetta non è mai solo una ricetta.

Quando un cuoco inventa una ricetta nuova non si tratta mai solo di un felice assemblaggio di ingredienti secondo tecniche specifiche, c’è sempre dell’altro: una storia personale, l’uso di un ingrediente speciale, il recupero di una tradizione che stava per smarrirsi, la risoluzione di un bisogno, o la voglia di aggiungere un elemento personale e creare qualcosa di nuovo. Alcuni piatti hanno letteralmente cambiato la storia non soltanto dell’alimentazione ma anche dell’uomo. O perlomeno la sua vita quotidiana.

Le ricette sono antiche quanto la cucina. Ne hanno trovato esempi in Mesopotamia: nel 1750 a.C. gli Accadi le incidevano in scrittura cuneiforme sulla pietra. Tra i primi libri di cucina viene in genere menzionato il De re coquinaria, attribuito a Marco Gavio Apicio, precursore di tutti i food writer, gastronomo e cuoco romano vissuto a cavallo tra il I secolo a.C e il I secolo d.C. Ma fu nell’Italia del Rinascimento che si cominciarono a comporre più diffusamente gli antenati dei ricettari come li conosciamo oggi, il più celebre e studiato è quello del cuoco Martino da Como, detto anche Maestro Martino, considerato il Leonardo da Vinci della cucina e vissuto tra il 1430 e la fine del XV secolo. Lavora nelle cucine di Francesco Sforza a Milano e in seguito si trasferisce a Roma per prendere servizio nelle cucine vaticane. A lui si deve la stesura del Libro de Arte Coquinaria – studiatissimo e venerato come il volume che segna il passaggio della cucina del Medioevo a quella del Rinascimento.

Il primo libro di ricette stampato in serie fu quello di Bartolomeo Sacchi (Piadena 1421 – Roma 1481), detto il Platina, cuoco nel Castello Sforzesco di Milano e poi a Roma nelle cucine cardinalizie, che riprende molte ricette di Maestro Martino. Il primo libro illustrato arrivò nel 1570, firmato da Bartolomeo Scappi, il cuoco personale dei papi. Allora come oggi erano i cuochi a scrivere libri, niente da stupirsi dunque se le nostre librerie traboccano di libri firmati dagli chef celebrità.

I ricettari non sono solo la più antica forma di letteratura gastronomica ma sono anche la più diffusa oggi. E continuano a essere un oggetto di analisi molto interessante, al di là dell’aspetto gastronomico, per indagare pure la società, i ruoli in cucina, il senso del gusto e del modo di intendere la convivialità. I primi ricettari originano da competenze tecniche e professionali e si rivolgono a chi per mestiere cucina e necessita di informazioni tecniche e spunti creativi. Fino alla metà dell’Ottocento, dunque, a scrivere è un professionista, spesso il cuoco o l’addetto ai banchetti e ricevimenti; poi il cibo diventa sempre di più un affare casalingo, sia di economia domestica sia di ricevere gli ospiti. Il Novecento vede l’esplosione dell’editoria gastronomica e della scrittura di ricette non più indirizzata a cuochi ma soprattutto alle donne, coloro le quali si occupano della preparazione del cibo all’interno delle mura domestiche. Avviene così un cambio di scrittura, a favore di un linguaggio più colloquiale, diretto, in cui riconoscersi (non come cuochi professionisti), arricchito di divagazioni personali, spunti autobiografici.

Ma quel che accomuna libri contemporanei e antichi è che la ricetta non è mai soltanto una prescrizione di ingredienti, quantità e procedimenti: è anche un racconto che non smette di interessarci e coinvolgerci, con veri e propri protagonisti (ingredienti) che interagiscono tra di loro (procedimento) per un lieto (o pessimo) fine: il piatto cucinato.

Anche per questo motivo appena vediamo qualcuno cucinare è difficile togliergli gli occhi di dosso: è troppo seducente la trasformazione di singoli ingredienti dalla natura, consistenza, provenienza e dal sapore differente in una pietanza deliziosa e memorabile, in cui gli ingredienti si sono amalgamati in maniera armoniosa, tramite una serie di peripezie – cambi di temperatura, triturazioni, centrifugazioni, bolliture e tanto altro. Non si può non essere affascinati dalla ricetta come racconto. E questo credo che sia un aspetto comune a ogni popolo e ogni latitudine.

Martina Liverani

Giornalista enogastronomica