Babini Pellegrina | 10/06/1907 | n.85
Trascrizione CCM
Bertinoro (FO) 10 giugno 1907
Carissimo zio,
Di ritorno da Imola, io stessa ne do a Lei il triste annunzio perché il povero d(on) Luigi troppo è in questo momento accasciato dal dolore. Chi mai avrebbe pensato che sarebbe finita così? Da quindici giorni il dottore aveva detto la fatale parola «manicomio» che rendeva quasi folle d(on) Luigi. E sono stati lunghissimi giorni e interminabili notti di angoscia per noi e di sofferenza per la povera ammalata che lottava con una energia sovrumana contro il sonno che appositi narcotici avrebbero dovuto procurarle affinché potesse ritrovare ristoro. In questo periodo di tempo d(on) Luigi fece pratiche col prof. Testi direttore della casa di salute a Faenza; a S. Colomba presso Pesaro; a Bologna nella “Villa Rosa”, ma riuscirono vane dato lo stato mentale della povera Mariuccia e pressato dal medico che lo rendeva responsabile di ogni pericolo, consigliato da quanti constatavano il tristissimo caso d(on) Luigi affrontò ed accettò la necessità di metterla in Imola. Vi si recò egli stesso sabato. Visitò l’Osservanza (manicomio comunale ove si raccolgono i dementi anche della nostra regione) ma il locale e il trattamento in comune non gli piacque e combinò invece a Sant’Isaia (manicomio provinciale) bellissimo locale ed innumerevoli reparti e giardini per dozzinanti, quasi una signorile casa di salute. Combinò per il trattamento di 2a classe (£ 4 al giorno di retta e £ 5 al mese per la guardaroba). Essa avrà così una camera propria, un trattamento buonissimo ed una infermiera a disposizione. Dopo una notte completamente insonne e turbatissima, nella mattinata di ieri dava assai a temere che avesse potuto compiersi il viaggio… ma poi presa colle buone essa fu, quasi per prodigio, un angelo. Non solo non oppose resistenza, ma accolse di buon grado l’idea di andare a curarsi a Faenza (non dicemmo Imola per pietosa bugia e quanto necessaria!). Con me fu sempre buona, ma negli ultimi giorni ebbe qualche scatto di sfiducia che, benché li sapessi incoscienti, pure mi amareggiavano tanto! Durante il viaggio invece fu di una affettuosità immensa, non si stancava di ripetermi che mi voleva tanto bene. Partimmo alle cinque del pomeriggio da Bertinoro ed arrivammo senza nessun spiacevole incidente alle 10 ½ a Imola in carrozza chiusa con una suora e l’infermiera dell’ospedale che essa non vide mai, perché pronto ad un mio cenno, non ebbe mai bisogno d’intervenire. Fu accolta dal direttore, dal medico assistente, dalla direttrice con ogni cura e defferenza ed ebbi da loro promessa di avere giornalmente notizie. Mariuccia non si accorse del momento in cui io la lasciai e fu certo un bene per entrambe! Prima però di lasciare il triste luogo venni assicurata che riposava tranquilla. Povera Mariuccia! Epperò la buona impressione provata nelle ultime ore passate con lei ha molto attuito la pena, per me, della grave sciagura. Ripartimmo subito dopo mezzanotte e siamo giunti a Bertinoro alle cinque di questa mattina, trovando s(uor) Giuseppina e d(on) Luigi in gran pena. Ed ora speriamo in bene. In settimana d(on) Luigi andrà a trovarla, e lei, caro zio può bene capire quale sia l’angoscia di questo tribolato. Gli ho evitato lo strazio dei particolari di questa lettera, incaricandomi io stessa di farlo a nome suo. E anche a Lei una parola di conforto per la pena riguardante la povera zia Rosina. Ha ragione di chiamare la vita una sventura, ma delitto non è il trasmettere il triste fardello se ciò è nell’ordine naturale delle cose. Bisogna, purtroppo, rassegnarsi bon gré mal gré alla propria croce e sopportarla con tutta la filosofia possibile per essere meno infelici. Tanti saluti a Marietta, a Francesco. A Lei un bacio affettuoso Bina. Vorrei scrivere a Marietta ma sono troppo stanca.