Urbanis Ugo | 23/05/1906 | n.1912
Trascrizione CCM
Udine 23 maggio 1906
Ottimo signor Artusi
Ella deve essere assai buono verso di me, se ancora non ha perduto la pazienza. Io le aveva promesso di scriverle riguardo alla mia Antonietta e ho lasciato, in verità trascorrere troppo tempo avanti di decidermi. Basta! ecco ciò che le posso dire. Vado ogni giorno a trovarla, e sento che ho fatto assai bene di venire qui a vederla e a formarmi coi miei propri occhi un idea esatta del suo stato mentale. Sono difatti più calmo ora, perché, quantunque non sia da farsi troppe illusioni, ho almeno avuto la consolazione di vedermi riconosciuto da lei, ho inteso la sua cara voce rispondere alla mia domanda, se mi voleva sempre bene, con un: «Sì, Ugo mio», che mi sceso profondamente nel cuore, e che ora solo a rammentarlo mi richiama agli occhi le lagrime, e mi riempie l’animo di commozione. Fortunatamente la sua memoria di cose, fasi, avvenimenti lontani è ancora pronta; sa da quanto tempo si trova qui, in una parola la sua psiche non è distrutta. Il primo incontro, può immaginarsi Lei quanto fu penoso. In quel giorno la mia Antonietta non era punto ben disposta, così che me ne ripartii assai triste. I giorni seguenti pareva molto meglio, rispondeva alle mie domande, ieri invece era difficile l’ottenere una risposta, e al medico che la interrogò disse che si sentiva nervosa. Io ci dò anche un po’ di colpa a questo tempaccio instabile e pregno di elettricità. Basta! coraggio e pazienza. Forse domani la troverò di più buona voglia. In ogni modo, per ora, io non la tolgo alle cure premurose di questo stabilimento, dove in tutti i casi ha migliorato. Si va incontro ora alla stagione caldissima e quindi pericolosa e in qualunque luogo la portassi starebbe peggio e non sarebbe così bene sorvegliata e sottoposta a un regime di vita così rigoroso. D’altra parte lei stessa non esprime il desiderio di sortire, nemmeno per andare a Trieste, nemmeno vicino alla sua sorella e alle nipotine. Io starò qui ancora qualche giorno poi me ne andrò a Trieste e verso i primi di giugno farò già ritorno a Firenze. In autunno tornerò a vederla e in allora deciderò qualcosa. Il direttore non mi da alcuna buona speranza, dice trattarsi di forma involutiva (il contrario di evolutiva) vale a dire, secondo lui, si và incontro a un rapido decadimento, a una senilità antecipata, a un ripiegamento, dell’organismo e della psiche, su se stesso: a una demolizione. Io qui, passo il tempo nella Biblioteca civica, ricercando nei volumi di Psicologia e di Psichiatria un po’ di luce che mi spieghi questi misteriosi comportamenti dell’anima, e che valgano almeno a darmi la tranquillità, circa il dubbio che per tanto tempo mi ha martoriato. Temo, cioè, di poter essere stato forse io, col aver negato alla mia Antonietta di ritornare a Firenze, la cagione involontaria del male che si manifesta così spietato in lei. Ma a mio conforto trovo questo passo nelle Lezioni chimiche dello Charcot: «La pazzia, o signori, non è una malattia accidentale che può colpire indifferentemente qualsiasi soggetto; al contrario essa è una malattia eminentemente costituzionale e gentilizia che ha le sue radici nelle varie affezioni del sistema nervoso dei progenitori, le quali affezioni hanno preparato attraverso le generazioni la malattia dei nipoti». Questo giudizio del celebre Charcot dovrebbe darmi l’assoluta tranquillità, pure penso che se avessi appagato il suo vivo desiderio e, con mio grande sacrificio, l’avessi riportata nel suo ambiente di Trieste, oggi ancora la mia Antonietta potrebbe essere sana e felice. È un dubbio che io non potrò mai completamente togliere dall’anima mia. E Lei come và, ottimo signor Artusi, e la gentile signorina Rosina, e la signorina Italia e la Mariettina? Spero tutti bene. Chi sà se al mio ritorno avrò il piacere di incontrarli ancora a Firenze. Se Ella vuol scrivermi due parole, lo faccia fermo in posta qui a Udine e gliene sarò obbligatissimo. Tante cose gentili a quelle belle, care e simpatiche signorine, e alla buona Marietta e a Lei ottimo signor Artusi una affettuosa stretta di mano dal suo affezionato Ugo Urbanis.