Urbanis Ugo | 17/12/1910 | n.1685
Trascrizione CCM
Trieste 17 dicembre 1910
Carissimo signor Artusi
Graditissima mi giunse la cara sua lettera piena di buoni conforti e belle parole per me. Quanto io ricambi il suo affetto è inutile glielo dica, e come sarei contento se, come Ella mi suggerisce, assestati i miei affari io potessi tornare a vivere in quella bella benedetta Firenze. Pur troppo invece io non potrò più muovermi da Trieste che sempre più mi sento impigliato nell’ingranaggio degli affari. Da quando io le scriveva quelle lettere disperate, sono successi degli avvenimenti e dei fatti nuovi, che benché favorevoli a me, mi lasciano pur sempre nella situazione imbrogliata di prima. Dopo lunghe, interminabili trattative la Banca Popolare ha dovuto decidere la liquidazione. Per me c’era il pericolo che da un momento all’altro la banca volesse essere soddisfatta del suo avere che ammontava a 77.000 corone. Fortunatamente ho trovato una persona amica, un capitalista il quale ha rilevato il mio debito saldando ogni mio conto con la banca con 44.000 corone. L’affare è buono, benché le corone 44.000 a compensare il favore resomi dall’amico, sieno divenute 54.000. In tutti i casi son sempre 23.000 corone risparmiate e poi la tranquillità di poter saldare il mio amico (il quale entrerà nell’azienda come socio tacito fino ad estinzione di questo debito) con tutta comodità, in sei, o sette anni, come potrò. Perché se tutti i miei debiti si restringessero alle 54.000 corone allora sarei beato, ma purtroppo ce ne ho degli altri e parecchi tutto sommato quasi cento mila corone, così che se volessi, come Lei mi consiglia, sistemare i miei affari con i miei creditori non solo a me non mi resterebbe niente ma i creditori dovrebbero accontentarsi forse del 50%. Il valore dei miei negozi consiste più nell’avviamento, nelle licenze industriali, nei decreti, che nel macchinario, nelle merci e nei mobili. Finché vado avanti io, con i guadagni dei due negozi, con l’economia in tutto e per tutto e col mio sacrificio personale c’è il caso di saltarne fuori (?) ma se volessi liquidare sfumerebbe tutto. Sa qual è la conclusione? che ora più che mai i negozi resteranno sulle spalle a me, perché mio cognato bisognerà trovi fuori qualche altro provento per cavarsela con le spese della propria famiglia, il nuovo socio (temporaneo) verrà si o no qualche ora al giorno a dare un’occhiata all’andamento degli affari, e tutti i pensieri, tutte le ansie nei momenti difficili (troppi), e tutto il sacrificio di amministrazione, di scrittorio e di sorveglianza resterà sulle povere mie spalle. Purché Dio mi dia salute e coraggio di insistere contro tante difficoltà. Sa l’altro giorno ho voluto fare come gli antichi che consultavano i libri Sibillini nei momenti gravi, per aver un responso che li illuminasse sull’avvenire, sulla sorte loro. Ho aperto a casaccio la Divina Commedia ed ho letto queste terzine:
Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant’om più va sù e men fa male.
Però quand’ella ci parrà soave
tanto, che sù andar ci sia leggero
com’a seconda in giuso andar per nave,
allor sarai al fin d’esto sentiero;
quivi di riposar l’affanno aspetta.
Più non rispondo, e questo so per vero. [Purgatorio, Canto iv)
Il presagio sarebbe abbastanza confortante, magari fosse così e potessi dopo un’aspra e faticosa risalita godere ancora un po’ di paradiso su questa terra; ma io temo invece che avanti di raggiungere la cima troverò attraverso il mio sentiero una fossa dove stanco e sfiduciato incontrerò finalmente la pace a questa mia travagliata esistenza. Sa cosa ci vorrebbe? la vincita di una grossa lotteria, ma come diceva un mio povero amico: «In questo mondo non è fortuna per i galantuomini». Intanto qui piove continuamente. Sà che in questi due mesi io ho riscontrato un incasso minore di più di cinquemila corone, che mi avrebbero fatto tanto comodo per far fronte ai tanti miei pagamenti. Basta, speriamo che il 1911 sia tutto al rovescio di questo maledettissimo anno, infracidato dalla coda della cometa. Lei ottimo signor Artusi, caro e buon amico, sa, senza che io lo scriva, tutto quello che il mio cuore le desidera. Che Dio le mantenga la salute e per anni molti ancora, e che Ella possa ancora ritrarre delle belle soddisfazioni e dei bei guadagni con le susseguentissi[me] edizioni del suo pratico manuale di cucina. Si ricordi qualche volta di me, di questo condannato ai lavori forzati, mi ricordi caramente alla gentile Mariettina e alla tanto simpatica e bella signorina Itala. Si abbia una affettuosa stretta di mano, insieme ad un bel bacione dal suo sempre affezionato Ugo Urbanis.