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Guerrini Olindo | 20/02/1898 | n.1928

Lettera | Emilia-Romagna

CCM Transcript

Signor mio,

No. I Comacchiesi non ungono nemmeno l’anguilla in gratella; me ne sono assicurato.

Se il pesce in genere e l’anguilla in particolare debbono essere freschi, per la gratella devono essere vivi. Adoperando anguille mezzane, le spellano se un po’ grosse, le ripuliscono soltanto se sottili, le inchiodano con la testa sur un’asse, le sparano con un coltello tagliente e levano la spina e così aperte, con le due mezze teste, le mettono in gratella condite solo di sale e pepe a mezza cottura. Le mangiano bollenti.

Così fanno i Comacchiesi, ma hanno le anguille tenere, grasse e, quel che più importa, vive. Del resto s’è fatta la rivoluzione per ottenere la libertà e non potremo mangiare l’anguilla come ci pare e piace, magari inzuccherata? Senta il parere di Bartolomeo Stefani cuoco del Serenissimo di Mantova e ammiri lo stile e la cucina del seicento:

“Molte contese vi sono intorno all’Anguilla circa la preminenza. Comacchio vorrebbe la gloria di produrre le più delicate; il Lago di Garda anch’egli gagliardamente s’oppone per portare il vanto; il Po anch’esso contrasta per questa facenda. Io però non voglio hora decidere la lite acciochè queste acque quando havessero da me sentenza contraria, con l’orgoglio dell’onde loro nonsommersero le mie ragioni. /Bello!/ Dico solo per l’esperienza ne tengo, che tutte sono buone, in particolare arosto, polverizate con pane, polvere di cannella, mastice e zuccharo, servite calde (Porco!). A lesso riescono buone: quando hanno meza cottura nell’acqua, si mettono in piatto d’argento, overo di stagno, nel quale siano squagliate angiove (leggi acciughe), polvere di garofani; oglio buono, succo d’aranci, mezo bicchiere di vin bianco, coperto con un altro piatto, mettendolo sopra le bragie fin che sia finita la cottura etc.”

Come Ella vede, se il Serenissimo Duca mangiava l’anguilla così, chi può rimproverar Lei se ci mette qualche goccia d’olio fino?

E per finirla con l’anguilla, che ormai Ella ne sarà sazio, eccole una ricetta tedesca, che non ho provato, ma che ha la faccia di cristiano.

Il difetto è di non essere di stretto magro.

“Cuocete un piede di vitello in un litro d’acqua, fate ridurre il liquido a metà, passate attraverso un tovagliolo strizzando forte e lasciate riposare. Spellate l’anguilla, tagliatela in rocchi e lessatela con gli odori (sale, pepe, prezzemolo, sedano, scalogni, garofani, scorza di limone, a vostro gusto). Lasciatela freddare nel suo brodo. Qualche ora prima di servire, riprendete la gelatina fatta col piede di vitello, aggiungetele aceto bianco e il sugo di due limoni; scaldatela e passatela perché sia limpida; versatela tiepida sui rocchi d’anguilla che avrete disposti sul piatto e servite freddo con contorno di olive, cetrioli etc.”

Pochi giorni sono ebbi in regalo una lepre, bestia per me antipatica. Non che io la creda immonda, come la Bibbia, la quale, divinamente inspirata, la classifica tra i ruminanti; ma mi piace poco. Volli fare il “civet de lièvre”, piatto tipico della cucina francese e mi riuscì bene. Civet ,viene da cive, cipolla; per cui potrebbe tradursi “Cipollata di lepre”. Ecco qui:

“Nel Civet classico ed ortodosso occorrerebbe il sangue dell’animale per legar la salsa, ma per lo più le lepri si hanno dissanguate. Ad ogni modo, mettete nella casseruola un pezzo di burro grande come un ovo e fatelo diventar biondo. In questo burro mettete 200 grammi di carnesecca tagliata a pezzi come dadi di domino, fateli soffriggere che divengano biondi anch’essi; levateli e serbateli. Mettete quindi nel burro un cucchiaio di farina e fatelo diventare color di marrone, sempre rimestando.

Questo di farina e burro e il roux che nella cucina francese sostituisce il nostro soffritto di cipolla, più saporito, ma meno delicato. Chi vuole, potrà rosolare la carnesecca nel soffritto di cipolla, ma bisognerà aggiungere la farina di poi, perché l’intinto sia un po’ denso.

Nel roux, o nel soffritto, buttate la lepre a pezzi non grandi, la carnesecca serbata, il fegato senza fiele e ben pesto, gli odori che preferite, spezie etc. una tazza di brodo e vino nero generoso quanto basta a coprire il tutto. Fate bollire adagio e coperto per due ore circa e se l’intinto fosse troppo, scoprite e fare restringere a fuoco vivo. A suo tempo mettete una ventina di cipollette, assaggiate per salare se occorre e servite caldo in piatti caldi. Chi avesse il sangue lo butti sulla vivanda pochi minuti prima di servire e faccia bollire finchè l’intinto sia denso. La carnesecca, le cipollette e il vino, sono la base; sul resto si può anche ricamare.”

Così si può anche cucinare il coniglio; anche il castrato se è ben frollo; e mi sono accorto che da noi in Romagna questo intingolo saporito ma greve, si usa sotto il nome di svizzera e di rufolaio. Il garofano è l’aroma che gli si confà meglio.

Sto aspettando da Massalombarda una ricetta di minestra asciutta e, se la riceverò e sperimenterò buona, la comunicherò a Lei perché ne benefichi l’umanità.

Io, mia moglie e i miei ragazzi La ringraziamo del suo cortese invito e fu per poco che non si venne a mangiarle un pranzetto; ma ora abbiamo un gran da fare e non si può.

Ad ogni modo Le siamo grati lo stesso; anzi gratissimo.

Debbo poi scusarmi con Lei di questa calligrafia da formica, la quale, suppongo Le farà faticare gli occhi e la pazienza. Ma non mi riesce di far meglio e me lo perdoni.

Mi creda intanto con la sua consueta benevolenza

Suo Olindo Guerrini

Bologna 20 febbraio ’98.

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