Urbanis Ugo | 20/12/1909 | n.1922
CCM Transcript
Trieste 20 dicembre 1909
Carissimo sig. Artusi
Io avrei dovuto rispondere con tutta sollecitudine a quella sua cara lettera che mi ha dato ancora una volta prova del suo bel cuore e della vera affezione che Ella mi porta. Lo splendido Sonetto del Metastasio invero vigoroso ed energico quale io non sospettava in un autore che nella comune opinione (e quindi anche la mia) corre quasi sinonimo di sdolcinato, l’ho imparato a mente e me lo sono ripetuto con energia sempre più confortante le tante volte. Debbo anche a questo incuoramento e alle parole benevoli da Lei direttemi, se ho trovato in me l’antica forza e il coraggio di affrontare una situazione che si presentava invero disperata. Spero che mia cognata le avrà fatto leggere una mia lunga lettera nella quale raccontavo per filo e per segno le mie lunghe peripezie. Ora rivivo, buon sig. Artusi, caro amico mio, oggi so che se Lei mi vedrebbe assiduo al lavoro dalla mattina alla sera, a sorvegliare il buon andamento della mia azienda, mi darebbe un bacio in fronte e mi direbbe bravo! Io mi occupo di tutto ma più che altro curo la parte amministrativa che era caduta nell’estremo di sordine. Libero da qualunque preoccupazione posso in oggi dedicarmi completamente alla mia azienda che deve prosperare e attingere, anzi superare l’antico fulgore. Prima d’oggi mio cognato a bella posta mi aveva tenuto all’oscuro della vera situazione in cui noi ci trovavamo. Oggi che nulla mi è più nascosto, oggi che tante persone buone mi sono venute in aiuto perché conoscono il mio leale modo di agire, sanno che io sono un galantuomo, scrupoloso ed onesto, oggi si che mi sono assunto, con entusiasmo, tutta la responsabilità su me. Certo sarà un lavoro lungo, ci vorranno sei anni e forse più per ricostituire la mia modesta fortuna, sarà una vita intensa, sacrificata ma nello stesso tempo ripiena di soddisfazioni. Glielo ripeto, rivivo, mi sento rinato, l’antica energia è risuscitata in me. «Che dalla ruota o dal martel cadente. Mentre soffre l’acciar colpì ed offese. È più fino diventa e più lucente». Io mi permetto scherzosamente di contrapporre allo splendido sonetto di Pietro Trapassi, quello di un anonimo autore intitolato: Favoletta culinaria che è stato pubblicato ultimamente sulla «Domenica del corriere» e che mi sembra abbastanza spiritoso. A lei ottimo signor Artusi io invio dal profondo dell’anima mia gli auguri più fervidi di felicità e salute che Dio voglia compagne a lei e durante queste feste di Ceppo e questi pochi giorni che ci separano dall’anno 1910, e via via per tutto il 1910 e molti anni ancora. Oramai se verrò a Firenze sarà per giorni ma in ogni modo ci rivedremo e bandita una volta per sempre la malinconia ci intratteremo in piacevole conversazione. Mi ricordi affettuosamente alla cara Marietta e alla gentile signorina Itala, e con un vero bacio mi creda tutto suo Ugo Urbanis.
Favoletta culinaria
Il filetto innamorato
s’era un dì della braciola
ma la pessima figliola
l’avea (cruda) rifiutato.
Quegli cotto, ma stufato
d’una vita vuota e sola
in un ampia casseruola
si gittò, e morì annegato.
Questo fatto edificante
spiega come le braciole
sian sì dure al ristorante.
Mentre tenero e ben cotto
trova sempre chi lo vuole
l’ANNEGATO con RISOTTO.