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Urbanis Ugo | 04/10/1910 | n.1684

Lettera | Friuli-Venezia Giulia

CCM Transcript

Trieste 4 ottobre 1910

Buon signor Artusi

La lettera sua tanto cara mi ha recato tanto conforto. La ringrazio, benedetto uomo per la buona opinione che Ella ha di me e per il caro e prezioso nome di amico con cui Ella sempre mi onora. Io mi trovo sempre in una situazione criticissima, devo lottare con grandi difficoltà per far fronte ai miei impegni, per tirare avanti. Intanto il dissesto di questa Banca Popolare ha fatto una prima vittima nella persona del presidente della banca stessa: il cav(ali)er Filippo Artelli persona integerrima, buona amato da tutti, uno dei sostenitori del partito nazionale. Persona sorta da umile condizione che col lavoro con l’ingegno con la perseveranza aveva conquistato un’alta posizione e ammassato una bella fortuna. È lui che per l’assanamento della banca aveva regalato spontaneamente un milione di corone. Era ammalato, qualche disturbo al cuore causato dal diabete cui andava leggermente soggetto, e gli affanni di queste ultime settimane e le interminabili trattative per venire ad un accordo con gli altri istituti bancari, l’hanno affranto, l’hanno accoppato. Un uomo dall’apparenza ancora vigorosa, settanta quattro anni, e un angelo di bontà. Meritava una vecchiaia gloriosa, e invece… Nella condizione mia poco rassicurante pure è avvenuto un fatto nuovo, che mi dà motivo di sperare. Nel contributo di due milioni che il Consiglio di Amministrazione ha generosamente regalati per venire in soccorso alla situazione pericolante della banca, c’entra pure mio cognato Mazzoli (marito di mia sorella) anche lui uno dei direttori della banca, per la somma credo di cinquantamila corone. Sono venuto a sapere un’ora fa, che il debito che ho verso la banca venne di conseguenza ridotto di trentamila corone. Io spero adunque che messe le cose ora così, non mi vorrà lasciar cadere. La difficoltà presente è questa che causa le voci messe in giro riguardo ai rapporti miei con la banca, la diffidenza e il discredito si è fatto attorno a me e con difficoltà trovo chi vuol fornirmi i generi primi che mi necessitano: mandorle, zucchero, uova, burro, e io in quest’epoca dell’anno, se voglio continuare la mia fabbrica, ne abbisogno e molto. Di zucchero me ne vanno quasi due sacchi al giorno, del resto, in proporzione. Avendo denaro e pagando tutto per cassa prontissima, non vi sarebbe troppo da affannarsi, ma è il denaro proprio quello che mi manca, ho che ne ho in proporzione esigua al mio bisogno in quest’epoca di produzione forzata. Passato il Natale sarei fuori dei fastidi, i miei clienti (rivenditori) non mi pagano che dopo un mese, così che verso la fine di gennaio potrei avere incassato tutto il mio, restandomi in più il guadagno. Ma quest’anno mi sarà impossibile, dovrò rinunciare al lavoro più remunerativo di tutta l’annata e perdere forse per sempre la mia clientela, con gran gioia dei miei concorrenti. Questa è veramente dolorosa! Coraggio dunque e pazienza. Riguardo a quanto Ella mi scrive sull’infelicità della massima parte delle persone che ci circondano, ha perfettamente ragione. Io però fra vita ed esistenza faccio distinzione. Nel mentre negli animali allo stato libero vita ed esistenza è la stessa cosa, nell’uomo, appunto perché non può o non vuole vivere secondo natura (ma o il bisogno di procacciarsi il pane quotidiano o la costrizione delle leggi e delle convenienze sociali, impostesi da lui stesso, per sua infelicità lo obbligano ai lavori forzati), l’esistenza sua piena di noie e di amarezze è la negazione della vita. Lo sconforto e la disperazione si insinuano nell’anima sua al posto della gioia che ogni uomo intelligente e sano dovrebbe esaltante, irradiare attorno a sé. Quanto pochi sono i momenti in cui veramente si vive. E quel denaro maledetto, fonte di tanti affanni, strumento di corruzione, esca a tanti delitti, ma benedetto anche, quando è adoperato a fine di bene, è egli cosa naturale e necessaria alla vita? Ha mai inteso Lei che ci siano degli animali provveduti di tasche per riporvi il portafoglio? Eppure gli uccelli al primo raggio di sole innalzano gioiosi il loro inno alla luce, alla vita, non preoccupati, perché sanno che troveranno qualche goccia di rugiada onde assetarsi e non verrà meno a loro il chicco di grano, che se non lo troveranno lì emigreranno in cerca di un paese meno inospite, di un clima meno rigoroso. Se l’uomo potesse vivere più secondo natura, e meno forzatamente in quella esistenza artifiziosa, innaturale in cui quasi tutti siamo costretti, quanta infelicità di meno e quanta gioia di più. Possiamo dunque aver ragione tutti e due e concludere che mentre la vita è gioia, amore, bellezza, l’esistenza è infelicità e noia. Mi ricordi affettuosamente alla tanto cara Marietta e alla graziosa signorina Itala. A Lei un caro bacio affezionato suo Ugo Urbanis.

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