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Urbanis Ugo | 20/09/1910 | n.1683

Lettera | Friuli-Venezia Giulia

CCM Transcript

Trieste 20 settembre 1910

Caro signor Artusi

Anch’io dovrei incominciare col domandarle mille volte scusa per aver tardato tanto a rispondere alla cara sua lettera. Cosa vuole, sono così sfiduciato di tutto, mi trovo così solo a dover lottare contro tante difficoltà che si accrescono anzi che scemare; che non ho voglia di nulla altro che di riposo e se la morte spontaneamente venisse a liberarmi io la benedirei. Non per questo ho un cattivo concetto della vita, che se per me è tormentosa pure per tanti altri più favoriti dalla sorte può e dovrebbe essere fonte inesauribile di gioia. La Banca Popolare di Trieste che mi venne in aiuto nel momento critico, a sua volta si trova pericolante. Le giustificate apprensioni per alcune operazioni disastrose han fatto accorrere agli sportelli della banca in folla i depositanti, di modo che in pochissimi giorni furono ritirati ben tre milioni e mezzo di corone. Il Consiglio di Amministrazione per non compromettere gli azionisti e gli altri depositanti (i più forti) han dovuto decidersi a chiudere gli sportelli e sospendere i pagamenti. Convocati gli azionisti ieri a mezzogiorno in seduta straordinaria il Consiglio di Amministrazione conscio della sua responsabilità ha annunziato di devolvere a fondo perduto la somma di due milioni di corone raccolte fra i direttori stessi per risanare la situazione della banca e poter così ristabilire il funzionamento regolare della banca. Ma con tutto questo mirabile sacrificio se altri istituti bancari non vengono incontro alla banca la stessa sarà costretta ad addivenire a una liquidazione perché le somme depositate alla banca e ancora non ritirate ammontano ancora a parecchi milioni, nel mentre che il denaro affidato alla banca va da sé, è stato investito in imprese industriali o accordato come sovvenzioni a moltissimi industriali e commercianti nell’intendimento di farlo fruttare. Se la banca fosse costretta a liquidare ciò sarebbe la rovina di centinaia di piccoli commercianti ed industriali che in lei trovavano il loro appoggio. Si figuri, per me sarebbe un disastro, ma già così come stanno le cose è un affare difficile andare avanti; il credito è scosso c’è penuria di denaro sulla piazza e poi a farne che tutti chiacchierano i fatti e gli impegni dei singoli sono portati a conoscenza di tutti e la sfiducia si fa attorno a quelli che come me hanno degli impegni forti con la banca. Difficoltà quindi di procurarmi le merci di prima necessità se non verso pronta cassa anziché con comodità di pagamento, come godevo fin’ora. Prevedo insomma che tutta la mia attività e buona volontà non serviranno a nulla e che prima o poi dovrò ignominiosamente cadere. Si immagini dunque quanto sconsolata è questa mia esistenza, già inoltrato negli anni, solo senza conforti, in mezzo ai fastidi e alle difficoltà di ogni sorta e con una prospettiva dinanzi a me niente rassicurante. Mi perdoni, mio buon Artusi, se io mi sfogo con lei, ma se io avessi un giorno ad arrivare ad una brutta determinazione, almeno lei mi compianga e mi compatisca. Ma parliamo d’altro. Ella ha dunque compito l’altro mese il suo novantesimo anno di età, una bella età quando si può come lei ancora apprezzare con mente lucida e aperta tutte le manifestazioni del bello nell’arte e nella letteratura. Tirate le somme Lei non ha niente di lamentarsi della vita, quantunque mi par sempre di sentire la sua voce ripetermi ciò che vorrebbe essere il succo della sua esperienza personale: «La vita è una galera». No, non se ne lamenti. Ella è stato uno fra i fortunati. Altrettanto il buon Mantegazza di cui lei mi accennava le condizioni disperate, e che ora non è più, anche lui l’ottimista Mantegazza, non avrà avuto due parole di benedizione per questa vita, dalla quale ha avuto tanta gioia ed ha ritratto tante soddisfazioni. Pace alla bell’anima. Spero che la sinovite l’avrà lasciato in pace a quest’ora. Che razza di roba è questa? mi immagino una infiammazione dei nervi. Dunque che il cielo le conceda ancora anni parecchi, senza acciacchi, confortato dalle cure e dal affetto delle persone che la circondano e che le vogliono tanto bene. Sarà purtroppo difficile, come dice Lei, che noi ci rivediamo, non perché Lei non mi voglia attendere, ma perché io ho fretta di andarmene. Mi ricordi affettuosamente alla cara Marietta e alla gentile signorina Itala, e con tutto l’affetto mi creda suo affezionatissimo amico Ugo Urbanis.

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